La Corte e i “fatti” – da R. BIN, La Corte e la scienza, in Bio-tecnologie e valori costituzionali il contributo della giustizia costituzionale, a cura di A. D'Aloia, Milano 2005, 1-22
2. Ciò sembrerebbe non valere però né per il giudice amministrativo, né per la Corte costituzionale. Per essi di regola non si pone il problema di verificare il nesso di causalità delle azioni umane, e quindi di ricercare la “copertura” delle leggi scientifiche. In quanto giudici di legittimità degli atti pubblici, nelle loro valutazione i dati della scienza entrano, per così dire, per via mediata, come parte di un ragionamento che resta comunque basato su argomenti di diritto e precedenti di giurisprudenza anche quando, come in alcune sentenze del Consiglio di Stato, sembra profilarsi una maggiore disponibilità del giudice ad affrontare la questione tecnico scientifica e a svolgere un sindacato più intenso sulle valutazioni tecnico-scientifiche operate dall’amministrazione[1]. Con una significativa differenza, però: mentre per il giudizio amministrativo vi sono ipotesi tipiche (il riconoscimento della causa di servizio, l’accertamento dell’idoneità fisica, le decisioni dell’Autorità antitrust ecc.), in cui i dati della scienza entrano direttamente nel giudizio, ponendo il problema se il giudice possa o meno svolgere un’attività istruttoria autonoma o attraverso la contrapposizione dei periti di parte tipica dell’adversary system, per la Corte costituzionale questo resta un orizzonte ancora lontano.
Le modalità con cui i “fatti” entrano nel giudizio costituzionale e l’uso molto limitato che la Corte ha fatto sinora dei suoi poteri istruttori sono stati oggetto di studi numerosi e ben noti[2]. I dati della scienza fanno capolino nella giurisprudenza costituzionale soprattutto nel giudizio sulla “verosimiglianza” delle relazioni causali ipotetiche e le relative prognosi che sorreggono la disciplina legislativa oggetto di giudizio. È fuori dubbio che viga una sorta di “presunzione” favorevole alle valutazioni che il legislatore ha compiuto in merito ai presupposti di fatto e alle prognosi[3]: è parte del self restraint che la Corte opera in nome della “discrezionalità” del legislatore, che si presume sappia quel che fa. Ma è una presunzione “debole”, destinata a cedere ad un’indagine più serrata ogni qual volta gli elementi fattuali e previsionali appaiano prima visu non del tutto immuni da critica e la legge “si palesi in contrasto con quelli che ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla realtà”[4].
I rari episodi in cui la Corte è stata indotta ripercorrere i dati fattuali, le premesse scientifiche, i presupposti tecnologici delle leggi sottoposte al suo giudizio sono noti e non meritano di essere richiamati[5]. In genere si è trattato di leggi anacronistiche fondate su “fatti” ormai superati, come nel caso della giurisprudenza che ha demolito il monopolio pubblico della televisione; ma non mancano anche casi di leggi recenti di cui la Corte ha contestato i presupposti scientifici[6]. Molto spesso, in questi casi, la Corte colpisce fattispecie legislative troppo rigide attraverso dispositivi formulati in modo da renderle più flessibili, così che possa essere consentito al giudice di formulare la regola del caso concreto sulla base di valutazione tecnico-scientifiche più adeguate. Questa non è affatto un’ipotesi isolata, rappresenta anzi un risvolto del modo stesso in cui è costruito il processo incidentale (degli altri giudizi non intendo occuparmi, perché non mi sembrano particolarmente significativi per il profilo qui in esame). I “fatti” entrano nel giudizio della Corte essenzialmente come supporto argomentativo dell’ordinanza del giudice a quo. È vero che le parti possono integrare la documentazione nel contraddittorio, ma è anche vero che esso si instaura (quando si instaura) tra soggetti non sempre in grado di addurre documentazioni particolarmente significative, più significative di quelle prodotte nel giudizio principale e che hanno “stimolato” il giudice ad emettere (e motivare) l’ordinanza di rinvio.
Per cui l’accesso dei “fatti” nel giudizio della Corte soffre di tutti i limiti (insuperabili, a mio giudizio) di cui soffre il contraddittorio davanti alla Corte; né a ciò è pensabile che la Corte sopperisca con propria autonoma attività istruttoria, poiché i “fatti” non sono mai separabili dagli interessi di chi li produce (per questa ragione l’adversary system resta comunque il principale importatore dei dati scientifici in un processo). Dato il limitato ruolo formalmente riconosciuto all’amicus curiae – spesso costituito da soggetti che chiedono di intervenire costituendosi in giudizio, e a cui la Corte risponde negativamente, pur acquisendo di fatto le memorie[7] – i “fatti” e i dati scientifici sono e restano soprattutto quelli prodotti dal giudice: anch’essi non sono del tutto “oggettivi”, perché di fatto sempre orientati alla contestazione della legittimità della legge. Il giudice chiede alla Corte di consentirgli di risolvere il caso che ha di fronte “liberandolo” dal vincolo che lo lega ad una disposizione basata su “fatti” erronei o non rispondenti alla specifica situazione rispecchiata nel caso di specie. Molto spesso perciò, quando la Corte accoglie la questione, non contesta in radice la validità dei presupposti e delle prognosi assunti dal legislatore, ma solo la loro assolutezza, ritenendo che essi possano rivelarsi non attendibili nel caso concreto, per il quale al giudice di merito viene “delegato” il compito di procedere ad accertamenti ed a valutazioni coerenti con la specificità del caso[8]. E così siamo ritornati al punto di partenza, ossia al sovraccarico di responsabilità relative agli accertamenti scientifici che grava sul giudice di merito, che ne è sempre più oberato.
[1] Cfr. A. TRAVI, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in “Dir.pubbl.” 2004, 439 ss.
È interessante che anche in Italia le vertenze in materia antitrust abbiano posto il giudice (amministrativo) di fronte al problema di valutare il peso da assegnare ai dati della scienza economica: ma non sembra che l’atteggiamento del Consiglio di Stato sia propenso ad aprire il credito alla capacità delle scienze economiche di offrire risposte univoche e “vere”: Cfr. ancora A. TRAVI, Il giudice amministrativo cit. 440-445.
[2] Senza alcuna pretesa di completezza, cfr. A. BALDASSARRE, I poteri conoscitivi della Corte costituzionale e il sindacato di legittimità astratto, in “Giur.cost.” 1973, 1497 ss.; A.CERRI, I poteri istruttori della Corte costituzionale nei giudizi sulle leggi e nei conflitti, in "Giur. Cost." 1978, 1335 ss.; M. CHIAVARIO, Ordinanze interlocutorie della Corte costituzionale nei giudizi di legittimità promossi in via incidentale, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli I, Padova 1985, 215 ss., 232-239; LUCIANI M., I fatti e la Corte: sugli accertamenti istruttori del giudice costituzionale nei giudizi sulle leggi, in Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Milano 1988, 521 ss.; R. BIN, Atti normativi e norme programmatiche, Milano 1988,313 ss.; G. BRUNELLI - A. PUGIOTTO, Appunti per un diritto probatorio nel processo costituzionale: la centralità del "fatto" nelle decisioni della Corte, in Annali dell'Università di Ferrara, 1995, 185 ss. e in L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale (a cura di P. Costanzo),Torino 1996, 245 ss.; T. GROPPI, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi, Milano 1997; G. D’AMICO, La Corte e lo stato dell’arte (prime note sul rilievo del progresso scientifico e tecnologico nella giurisprudenza costituzionale), in Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione” (a cura di E. Malfatti, R. Romboli, E. Rossi), Torino 2002, 431 ss.
[3] Prognosi rilevata già da A. CERRI, Divieto di differenziazioni normative per ragioni di sesso e carattere “privilegiato” delle valutazioni legislative, in “Giur.cost.” 1986, I, 956 ss., 958 s.
[4] Sent. 114/1998, in “Giur.cost.” 1998, 965 ss. (con nota di L. VIOLINI, Sui contrasti tra valutazioni giuridiche e valutazioni scientifiche nella qualificazione della fattispecie normativa: la Corte compone il dissidio ma non innova l'approccio).
[5] Sia consentito rinviare all’analisi compiuta in Atti normativi cit., 328 ss.
[6] È il caso delle sent. 438 e 439 del 1995, che dichiarano illegittime le norme sulla detenzione di persone affette da HIV, introdotte nel 1993: cfr. le osservazioni di A. PUGIOTTO, Due casi di controllo della Corte costituzionale sui presupposti empirici di scelte legislative “penali”, in “Giur.cost.” 1995, 3460 ss.
[7] Proprio attraverso l’espansione di un’apertura “informale” del contraddittorio, cioè l’indizione di udienze conoscitive a cui invitare le organizzazioni d’interessi coinvolte nella decisione, la Corte potrebbe risolvere il problema di come utilizzare l’adversary system senza aprire formalmente il contraddittorio accreditando diritti di intervento la cui dilatazione sarebbe inevitabile e incontrollabile. È significativo il fatto che nella citata sentenza Daubert v. Merrell Dow Pharms., la Corte Suprema sia stata “assistita” da tre nutriti ed autorevoli gruppi di “amici”, tra cui ben sei Premi Nobel e le Associazioni nazionali che rappresentano parte significativa del mondo scientifico (cfr. FOSTER, K. R. – HUBER, W. H., Judging Science: Scientific Knowledge and the Federal Courts, MIT Press 1999, 2). Questo tipo di mobilitazione ha probabilmente influito sulla ispirazione “istituzionalista” che si rintraccia nella motivazione della sentenza (vedi § 1).
[8] È questo il caso, per esempio, delle sentenze citate nella nota precedente e, tra le decisioni più recenti, della sent. 253/2003, che dichiara l’illegittimità dell’articolo 222 del codice penale, “nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale”. Può essere richiamata a questo proposito la più generale figura della “delega di bilanciamento”, cfr. R. BIN, Diritti e argomenti, Milano 1992, 120 ss.