Come i Consigli regionali possono vincere la concorrenza: un’introduzione al dibattito

 

Roberto Bin

 

Sembra ormai giunto il momento in cui i Consigli regionali si accingono alla scrittura dei nuovi Statuti. Che ciò avvenga ad oltre due anni dalla riforma costituzionale che ha modificato così profondamente la potestà statutaria delle Regioni ordinarie è un dato di per sé molto allarmante. La successiva riforma del Titolo V ha posto le Regioni di fronte ad un’enorme compito di rinnovamento della legislazione, che va ben oltre ai ristretti ambiti della vecchia potestà legislativa regionale. Interi settori fondamentali della vita sociale ed economica aspettano ora dalle Regioni una risposta innovativa, che in passato hanno richiesto, spesso inutilmente, allo Stato. In questi settori mancano ancora le strutture amministrative, le conoscenze, le esperienze, i collegamenti con gli interessi sociali che sarebbero necessari per elaborare adeguate politiche pubbliche regionali. E, nel frattempo, anche nelle “vecchie” materie sono saltati quei limiti e quei vincoli che le Regioni hanno sempre additato come le cause della propria scarsa capacità di incidere e di innovare.

Il grave ritardo con cui tutte le Regioni stanno affrontando la scrittura dei loro Statuti è causato – come si sa – dal problema del ruolo del Consiglio regionale nella “forma di governo”: il timore che domina tutte le assemblee è che la scelta dell’elezione diretta del Presidente della Regione, con le conseguenze che ne fa obbligatoriamente discendere il nuovo art. 126.3 (la famigerata clausola simul stabunt, simul cadent), possano causare lo smarrimento del ruolo “politico” del Consiglio regionale, vittima di ogni possibile ricatto da parte del Presidente della Regione “eletto direttamente”. Tale è la preoccupazione per queste conseguenze, che è passato completamente in seconda linea ogni altro profilo del ruolo del Consiglio regionale.

Visto dall’esterno, il fenomeno sembra paradossale. Proprio nel momento in cui si rovescia sui Consigli un immane compito di rinnovamento legislativo; in cui la novità delle materie da affrontare pone in serio dubbio la capacità delle strutture dei Consigli di farvi fronte; in cui interessi sociali ed economici nuovi devono poter trovare nell’assemblea rappresentativa degli interlocutori capaci di esserne gli interpreti; in cui perciò massima è l’esigenza dell’apertura, della comunicazione con l’esterno: ecco che proprio in questo momento, di fronte a queste prospettive così nuove, i Consigli si ripiegano su se stessi, sulla passata esperienza politica e sembrano considerare come tema dominante un problema che, all’esterno, non ha alcun significato. Perché un dato è certo: all’esterno i problemi della “forma di governo” sono incomprensibili e l’idea che la “politica” nella regione sia concepita principalmente come concorrenza tra chi sta nella Giunta e chi sta nel Consiglio può provocare soltanto rifiuto. Le vicende del referendum in Friuli-Venezia Giulia, con l’alto astensionismo (estraneità dal problema) e la netta affermazione dei no (rifiuto di ritorni al passato) ne sono una conferma esemplare.

Lo scopo di questo seminario è di contribuire a spostare i riflettori dal “nodo” della forma di governo al ben più importante nodo dell’efficienza del Consiglio regionale: perché è innanzitutto sull’efficienza che si decide la concorrenza tra esecutivo e assemblea rappresentativa. Efficienza e concorrenza in che cosa?

Anzitutto nei processi decisionali. Che gli esecutivi tendano a sottrarre alle assemblee continui spazi decisionali è verissimo: ma è altrettanto vero che le assemblee non hanno in genere garantito tempi certi nell’approvazione delle proposte dell’esecutivo e rigore nell’affrontarle, così almeno in parte giustificando lo “scippo” subito. Ma in parte anche questo ha una causa precisa: quale ruolo effettivo possono avere le assemblee nel processo decisionale se non sono in grado di elaborare informazioni e dati in modo autonomo e per tutto ciò dipendono dall’esecutivo e dai suoi uffici? Quello che da una parte è subìto come una perdita di tempo, dall’altra è subìto come un’incapacità di incidere.

Acquisire dati e informazione significa anzitutto munirsi di strutture tecniche. Queste sono sempre mancate alle assemblee elettive italiane, a tutti i livelli. La pessima abitudine a confondere la capacità tecnica con la fedeltà politica ha fatto sì che, entrati in crisi i partiti tradizionali, sono venuti meno i veri fornitori di conoscenza dei rappresentati: non ci sono più i centri studi, le riviste, le organizzazioni collegate, e questo ha indebolito enormemente la capacità di elaborazione e di proposta di cui dispongono coloro che siedono nelle assemblee. Ma le strutture che i partiti hanno in passato offerto, dall’esterno, a chi operava all’interno della assemblee hanno fatto sì che, nella tradizione istituzionale italiana, recedesse in secondo piano l’esigenza per le assemblee stesse di acquisire proprie strutture e propri supporti informativi e di elaborazione; sicché, ristrettesi le risorse che i partiti acquisivano e mettevano a disposizione, ecco che le assemblee si sono trovate ora in una situazione di gravissimo deficit nella capacità di elaborazione, e di maggior dipendenza dalle strutture dell’esecutivo. Così s’innesca un circolo vizioso, perché questo fenomeno di dipendenza “funzionale” del Consiglio dall’esecutivo moltiplica i suoi effetti incrociando il fenomeno parallelo (anch’esso causato dalle trasformazioni della politica) della personalizzazione della politica e dell’elezione diretta del Presidente della Regione.

Ma acquisire dati e informazioni significa anche altro. Troppo semplicistica è l’idea che basti (e sia possibile) avere dei tecnici in Consiglio per ottenere dati e informazioni “oggettivi”. Come i giuristi ben sanno, i dati “oggettivi” non esistono, e per questo si è inventato il “processo” e il contraddittorio, che ne è l’anima. E per questo si è introdotto il contraddittorio anche nel procedimento amministrativo: perché sono le “parti” a portare e illustrare i propri “dati”. Acquisire dati e informazioni è uno degli obiettivi della rappresentanza: ed è proprio in questa funzione, intimamente vitale per le assemblee elettive, che esse si trovano ancora una volta in difficoltà e in ritardo rispetto agli esecutivi. A chi si rivolgono gli interessi economici o sociali organizzati? Gli interessi “forti” non hanno difficoltà a farsi sentire dall’esecutivo: e se preferiscono indirizzarsi lì, ne resta segnata la “forma di governo” della Regione. Se l’imprenditore preferisce andare dall'assessore regio­nale invece che andare dal presidente della commissione consiliare competente, è il suo comportamento a disegnare la vera forma di go­verno, vi sia o meno la clausola simul… simul…: perché vuol dire che il Presidente della commissione regionale non conta quanto l'assessore, e questo ovviamente ingenera la tentazione a fargli concorrenza, a cercare di subentrargli nella carica. Ma, allora, la clausola simul… simul… non è già la causa della debolezza di ruolo del Consiglio e dei suoi membri, bensì semplicemente un rimedio alle conseguenze successive (l’instabilità dell’esecutivo): la causa sta nella difficoltà che il Consiglio incontra nell’esercitare il proprio ruolo, a rispondere all’essenza stessa della propria funzione, la rappresentanza.

C’è modo per rafforzare la funzione di rappresentanza, per far diventare il Consiglio e le sue commissioni “attraenti” per i rappresentanti degli interessi (non solo di quelli “deboli”, che non hanno accesso facile all’esecutivo, ma anche per quelli più forti), per far emergere il ruolo dei Presidenti dell’Assemblea e delle Commissioni? Vi sono parlamenti in cui tutto questo avviene e non vi è ragione perché altrettanto non succeda nel Consiglio regionale.

La scrittura dei nuovi Statuti potrebbe e dovrebbe essere l’occasione per riposizionare i Consigli regionali badando a potenziarne l’efficienza, la capacità decisionale, la funzione di rappresentanza. Certo gli Statuti non potranno mettere a fuoco i singoli meccanismi idonei a tali fini, ma sarebbe importante che introducessero alcuni contenuti indicandoli come obbligatori per il regolamento interno (per esempio, per quanto attiene alle procedure decisionali), per le leggi di programmazione finanziaria e di contabilità (per esempio, per la disciplina del controllo finanziario e della gestione di bilancio), per la formazione delle leggi (per esempio, per il ruolo degli apparati tecnici nella legislazione e le tecniche di pubblicazione delle leggi), per l’organizzazione del Consiglio e delle sua attività di ispezione politica (per esempio, per organizzare un monitoraggio sui risultati delle politiche pubbliche che consenta al Consiglio di non limitare la propria partecipazione al solo momento della deliberazione della legge, restando all’oscuro di ciò che è avvenuto prima e di ciò che avviene dopo), per la comunicazione con l’esterno (per esempio, introducendo modi nuovi di “dibattito” sull’attività dell’esecutivo).

La tastiera è vasta, e molti sono i tasti che possono essere accordati per potenziare la voce del Consiglio. Certo, sono spesso meccanismi di una certa complessità tecnica e meno “visibili” dei grandi, appariscenti meccanismi della “forma di governo”. Ma solo nei cattivi manuali di diritto costituzionale la “forma di governo” è ridotta a pochi e grossolani tratti distintivi, quali quelli che attengono al modo con cui si forma e si sfa il rapporto di fiducia: è come lavora tutto il resto della tastiera che ne determina i contorni reali, sono i piccoli e complessi particolari tecnici a fare la differenza.

Convinti di questo, abbiamo promosso questo primo seminario, invitando a parteciparvi studiosi e tecnici impegnati nelle esperienze più interessanti che si sono registrate nelle assemblee elettive negli ultimi anni, sperando di trarne suggerimenti utili. Il seminario è introdotto da una relazione di Alberto Martini e Marco Sisti (a cui va un particolare ringraziamento della Rivista), che rispecchia le interessanti ed utili riflessioni maturate, con l’apporto dei tecnici di alcuni Consigli regionali, nell’àmbito del progetto CAPIRe.

 

Roberto Bin